Finanziaria: le priorità che mancano

Tempo di finanziaria e tempo di definire le priorità all’interno del  contesto socio economico italiano, con cui si misurano sia la maggioranza che l’opposizione.
Si richiama la crescita economica come obiettivo ma in mancanza di una reale prospettiva di miglioramento significativo  di qualunque parametro macroeconomico.
Uno dei pilastri del tessuto produttivo nel nostro Paese è  costituito dalle PMI, che rappresentano la maggior parte delle imprese italiane e sono considerate il motore dell’economia del Paese, rappresentando Secondo i dati dell’Istat  circa il 99,9% delle imprese italiane e impiegano circa il 70% della forza lavoro del settore privato in tutti gli ambiti produttivi. Molte di queste imprese sono family business, ovvero imprese gestite da famiglie che le hanno fondate e le continuano a gestire.
In questo contesto vi sono due concetti che dobbiamo tenere necessariamente in considerazione: transizione digitale per la competitività e salario minimo per la dignità del lavoro.

La sfida di una politica progressista dovrebbe essere, a mio parere, quella di  saper coniugare investimenti e trattamento economico dignitoso, consentendo alle imprese di crescere e di generare ricchezza per imprenditori e per la loro forza lavoro.
Qualunque processo di digitalizzazione passa attraverso competenze a cui le PMI molto spesso non possono accedere a causa di risorse limitate. Così si pensa che non sia una priorità e si rinuncia, perdendo in competitività pur mantenendo alta la qualità dei propri prodotti e servizi, con grande fatica e perdite significative.
Perché quindi non sostenere anche investimenti in ´competenze umane’ e non solo in macchinari, creando meccanismi di incentivazione e copertura dei costi di impresa nel reperire queste competenze all’esterno, a costi di mercato? Perché non prevedere anche la possibilità di rottamare software ed hardware obsoleti come accade per le automobili?

E, a fronte quindi del raggiungimento di maggior fatturato e maggiori utili, perché non incentivarne il reinvestimento in welfare aziendale o in aumenti dei salari?
Su questo circolo virtuoso ed in un contesto che coinvolge tutti nel risultato dell’impresa, si inserisce la misura del salario minimo come misura per la creazione di ricchezza e il miglioramento delle condizioni socioeconomiche degli italiani.
Alcuni sostengono che il salario minimo possa aiutare a ridurre la povertà e migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, mentre altri ritengono che possa avere effetti negativi sull’occupazione e sulla competitività delle imprese.
Andrebbe presentata come misura all’interno di un contesto più ampio, strutturale, che possa includere tutti i protagonisti facendoli sentire parte di un unico progetto di crescita, imprenditori e lavoratori, per quanto di propria competenza e responsabilità. Con una politica che non punta a dividere ma a trovare obiettivi comuni pur da gruppi di interesse diversi.

Il salario minimo, andrebbe visto, inoltre, non solo come misura di ‘sopravvivenza dignitosa’ ma anche come possibilità di ognuno di tornare ad una forma di piccolo risparmio, di fatto la spina dorsale di questo paese, che ci consente tuttora di sopportare un debito pubblico sempre in crescita.

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