La nostra democrazia non gode di buona salute, è un processo in atto da tempo, e si sta decisamente aggravando. Primo indicatore l’astensionismo. Un elettore su due pensa che votare sia inutile, che in fin dei conti “la democrazia sia una perdita di tempo e un leader da solo possa fare meglio” (P. Giaretta). E’ probabile che la convinzione democratica vacilli anche in chi persiste nel votare nonostante tutto. Magari ci ha provato con il proprio voto a smuovere qualcosa, venendo ciclicamente frustrato nelle aspettative. Così o ritorna all’astensione o sposta la propria preferenza, rimanendo generalmente all’interno del recinto dell’alleanza politica alla quale ritiene di fare comunque riferimento. Un po’ più verso le ali estreme o un po’ più al centro. Pochi sono quelli che saltano la staccionata cambiando curva e tifoseria.
Di fronte a questo scenario le organizzazioni politiche reagiscono in modo differenziato, ma sostanzialmente non affrontano la progressiva perdita di senso della dimensione democratica, lasciando buona parte dei cittadini fuori dalla partecipazione alla gestione del bene comune per via istituzionale. Fenomeno questo con risvolti gravi e in atto da così tanto tempo che ad es. la generazione Z in buona parte ne ignora persino l’esistenza (più di 1/3 tra i 18e i 24 anni non si informa mai di politica, dati ISTAT)
A centro sinistra la ricetta è il campo largo, cioè la somma dei consensi che ciascuna forza politica dell’alleanza è in grado di portare, con il fattore comune di opporsi alla coalizione avversa. Tuttavia recenti analisi delle ultime scadenze elettorali hanno chiarito che il campo è largo nell’architettura dell’alleanza ma ancora ristretto nell’offerta politica. Lo sforzo unitario non determina sempre una narrazione chiara e credibile.
A centro destra invece il collante è la conquista di posizioni dominanti, anche ricorrendo ad una narrazione politica tanto irrazionale e incoerente nei contenuti quanto netta nella semplificazione populista. La coalizione conservatrice attua un paradosso, capitalizza le proprie contraddizioni allargando le opportunità di raccolta del consenso con un’offerta politica più ampia e viceversa. Al momento questa formula ha di poco la meglio nelle competizioni elettorali.
Risultato per entrambi: salvo piccoli scostamenti, nessun passo avanti nel coinvolgimento di questa folla enorme di cittadini, progressivamente indifferenti, senza dimora politica. Quindi, che fare?
Da questa prospettiva il campo al quale occorre lavorare, non è solo quello delle alleanze, pur necessarie. Piuttosto quello del disorientamento politico e sociale; rinnovando capacità di ascolto e di proposta in un lavoro lungo, sistematico, ben organizzato.
Senza tuttavia cadere nel fraintendimento che chi si astiene abbia solo buone ragioni, né che tali soggetti costituiscano una massa indistinta per orientamento culturale, propensione civica ecc. Probabilmente nel recuperare al voto questi non basterà avere solo qualche idea più smart delle precedenti, sarà necessario coinvolgere più che convincere. Nessuna garanzia di successo, ma bisogna pur provare… sul campo!
Ad oggi pare non esista quindi una ricetta pronta all’uso per recuperare posizioni su questo campo, quello reale, dei cittadini senza dimora politica. Si propone piuttosto una porta stretta, impegnativa che però apre ad una via larga, quella di una cultura politica più ampia e prossima alla vita delle persone lì dove si svolge.




