In questi giorni l’Alleanza contro la povertà ha espresso forte preoccupazione per la proposta di dimezzamento dell’importo dell’Assegno di inclusione previsto per la prima mensilità che segue il rinnovo del beneficio. Tradotto: terminato il primo ciclo di 18 mesi, il secondo ciclo inizierebbe con un importo ridotto della metà.
Eppure una cosa positiva è stata pensata e tradotta in articolo: eliminare l’incomprensibile pausa di un mese tra primo e secondo ciclo. Ma poi, forse qualcuno si è chiesto: ma davvero vogliamo regalare una mensilità in più ai poveri? Ma no, anche meno.
E così, detto e fatto.
Si riparte senza attendere un mese ma con un importo ridotto della metà.
E quanto risparmia lo Stato, in pratica? Circa 100 milioni di euro, una cifra abbastanza ridicola tenuto conto dell’importo complessivo della legge di bilancio. Praticamente, si sta parlando di una cifra pro-capite piuttosto modesta, tra i 250 e i 300 euro al mese. Ma che per per delle famiglie in condizioni di povertà si tratta di una enormità.
Se l’articolo venisse approvato, a partire dal 2026 circa 350/400mila famiglie (secondo i calcoli dell’Alleanza) avrebbero qualche serio problema in più per pagare gli affitti o le utenze elettriche o telefoniche o le spese generali o mediche. A proposito di “bollette”, cogliamo l’occasione per ricordare che secondo l’Oipe (osservatorio sulla povertà energetica), sarebbero ben 2,4 milioni le famiglie italiane che nel 2024 si trovavano in povertà energetica: è il valore massimo di questi ultimi anni.
Dunque, chiediamo ai parlamentari di intervenire per scongiurare questo tragico epilogo. Chiediamo di intervenire anche accompagnati da un pensiero un poco più lungo e strategico in tema di povertà, perché è altrettanto evidente che è l’architettura complessiva della misura ad apparire inadeguata. Anche quest’anno l’Istat dichiara che le povertà non diminuiscono pur in presenza di una evidente – e spesso richiamata – crescita del PIL nazionale. Ben sappiamo che la crescita economica non sta determinando una corrispondente crescita dei redditi medi, tale da sostenere il potere d’acquisto reale. Eppur si cresce. Purtroppo crescono anche le povertà.
Serve un cambio di passo. O meglio, serve un cambio di paradigma: per esempio ascoltando i soggetti che da anni si occupano seriamente di contrasto alla povertà. La misura – lo si ripete da quando è entrata in vigore – non possiede più la natura universale che caratterizzava il Reddito di inclusione o il Reddito di cittadinanza: non ha proprio le caratteristiche del reddito minimo, non si rivolge alle persone in povertà in quanto tali ma solo ad alcune categorie specifiche. Pertanto, si rivolge ad una platea troppo ridotta. Inoltre non migliora la presa in carico a favore di una maggiore integrazione lavorativa, non semplifica la complicata burocrazia (contribuendo a ridurre ulteriormente la platea, il cosiddetto take up infatti non è alto).
Su quest’ultimo punto, qualche giorno fa Leonardo Becchetti era intervenuto proponendo una rete strutturata di “angeli sociali”, ossia di figure di accompagnamento capaci di fare da ponte tra la burocrazia e la vita reale delle persone fragili: praticamente di “buoni samaritani” delle persone in povertà. È un’ottima idea. Che potrebbe essere valorizzata ristrutturando l’architettura della misura attuale, affinché riprenda alcune caratteristiche positive delle misure precedenti (del Reddito di inclusione, in realtà), a partire dall’universalità per arrivare anche agli importi monetari reali.
Serve un pensiero che disegni una misura più efficace ed efficiente, per assistere chi non può che essere assistito e incentivare e formare (skilling e reskilling) chi può lavorare in un modo dignitoso e controllato. Ma serve anche un pensiero più empatico verso la povertà. Quando si parla di poveri, si rischia sempre di oscillare tra stereotipi negativi, tra cui quello del “furbetto” che ruba i soldi agli onesti contribuenti e quello colpevolizzante di chi “se l’è voluta, è colpa sua”. Pur essendoci anche situazioni così, la realtà è lì per essere osservata. Chi la conosce lo sa: e chi non la conosce può chiederla facilmente a chi con la povertà ha a che fare. È uno di quei casi in cui vale il principio per cui la realtà è superiore all’idea.
I poveri non possono limitarsi a essere presenti come soggetto di qualche appello, di qualche rapporto, di qualche misura dagli esiti incerti. Trattandosi di poveri, si dovrebbe essere attentissimi, perché sono i soggetti che più ci restituiscono la misura del funzionamento del sistema di welfare e quindi della capacità di vivere dignitosamente una vita: come si spiegherebbe l’articolo 3 della nostra Costituzione. Vogliamo applicarlo integralmente?
Ma no, anche meno, avrà pensato qualcuno…
Roberto Rossini
Presidente Consiglio Comunale di Brescia
già Presidente Nazionale delle ACLI
[22 dicembre 2025]





1 commenti On Anche meno…
[…] Serve un cambio [..] di paradigma: per esempio ascoltando i soggetti che da anni si occupano seriamente di contrasto alla povertà […] limite presente con una certa frequenza in molti ambiti, in troppi ambiti