La situazione invero grave nella quale si trova oggi l’Europa, e con essa i suoi singoli Stati, impone alla politica un sussulto di qualità e responsabilità assolutamente indispensabile. Del quale però non v’è al momento traccia, sia nel campo della maggioranza di governo sia in quello dell’opposizione, salvo qualche apprezzabile ma minoritaria eccezione.
La cartina di tornasole è a questo proposito la linea di politica estera e le scelte che ne devono conseguire.
Essa è per definizione, in ogni tempo e a maggior ragione in tempi come gli attuali, espressione cristallina della Politica: è attraverso le relazioni con le altre nazioni che un paese costruisce larga parte del proprio presente e del proprio futuro. La Storia questo ci insegna.
Come del resto ce lo hanno insegnato i grandi statisti che anche l’Italia ha avuto. Sia sufficiente qui ricordare Alcide De Gasperi e la scelta dell’adesione al Patto Atlantico, con le conseguenti dure battaglie parlamentari (e non solo) fra la DC ed il PCI.
Non possono esservi contraddizioni, né ambiguità, né furbizie, in politica estera.
Eppure oggi, nella provinciale politica interna italiana pare proprio non essere così. La disputa sulla candidatura a sindaco di una qualsiasi media città sembra più importante e viene affrontata con maggior rigore che non la discussione sul ruolo dell’Italia in Europa, sul profilo della sua politica internazionale. Ove invece le contraddizioni sono eclatanti, palesemente ingannevoli nei confronti dei cittadini, nascoste all’opinione pubblica mediante l’evasione dal tema, il parlar d’altro, la ripetizione monotona di frasi sloganistiche vuote e false.
È allora necessario evidenziare almeno la principale di queste contraddizioni. Nella maniera più semplice e immediata. Con poche parole e senza girarci intorno.
Nell’area di governo se Forza Italia fosse coerente con il suo dichiarato europeismo sostanziato nell’appartenenza al Partito Popolare Europeo e con le posizioni assunte in difesa dell’Ucraina sin dall’inizio della guerra non dovrebbe a questo punto rimanere un minuto di più alleata della Lega, le cui posizioni filo-putiniane e fortemente antieuropeiste sono espresse da tempo e ribadite se possibile con ancor maggior vigore in questi giorni tanto difficili.
Non è sufficiente, non lo è più, trincerarsi dietro la debole formula che fa riferimento al voto parlamentare leghista favorevole, sin qui, al finanziamento delle iniziative europee in favore della difesa ucraina. Perché contano, e molto, anche le prese di posizione politiche, le cose che si dicono, la propaganda che si fa, insomma il sentiment in argomento che si vuole trasmettere al Paese. Che nel caso del partito guidato da Salvini è opposto a quello del partito di Tajani, con l’aggravante che quest’ultimo è pure il Ministro degli Esteri.
E, occorre aggiungere, in nome dell’esibito europeismo Forza Italia dovrebbe richiedere qualche chiarimento anche al partito nazionalista per eccellenza, quello fondato dalla premier Giorgia Meloni. Ma non lo fa. Si limita a frasi di circostanza, a qualche puntura di spillo. Frenata da un patto di potere, ovviamente ritenuto di importanza superiore rispetto all’onestà intellettuale che imporrebbe scelte politiche faticose e costose.
Nel nostro settore, quello dell’opposizione, la “testarda” volontà unitaria a sinistra impedisce al Partito Democratico di denunciare le posizioni pentastellate ambigue in tema di unità europea, quando non decisamente contrarie, testimoniate più volte al Parlamento di Strasburgo e assunte frequentemente in quello di Roma. Così come quelle relative alla guerra in Ucraina, sempre tese a comprendere le ragioni di Mosca rispetto a quelle di Kyiv se non talvolta addirittura a sostenerle apertamente. Sulla politica estera in realtà pare rivedere all’opera l’alleanza giallo-verde di infausta memoria.
Stando così le cose il PD dovrebbe agire di conseguenza, e quindi l’alleanza con il Movimento 5 Stelle dovrebbe essere abbandonata, in assenza di un chiarimento di fondo. Per la verità anche quella con AVS andrebbe discussa, da questo punto di vista. Non accadrà, naturalmente. E non solo per ragioni di aritmetica elettorale (aritmetica, appunto, e non certo coerenza programmatica) ma pure in ragione del fatto che oggettivamente nel partito esistono ampie sacche di perplessità, al momento non ancora emerse con piena evidenza, relativamente sia alla politica europea sia al sostegno alla causa ucraina.
Che si fa, allora? Si prosegue così, occultando i problemi, coltivando le ambiguità, tacendo quando invece si dovrebbe parlare, argomentare, chiarire? Non sono tempi ordinari, questi. La realtà internazionale che si va delineando esige, o esigerà presto, scelte nette, prive di bizantinismi verbali o di imbarazzati silenzi. Forse è meglio cominciare col dirselo, sin da ora.




