La vicenda che ha visto a Torino la chiusura del centro sociale Askatasuna, che ha seguito quella avvenuta di recente a Milano con lo sgombero del Leoncavallo, richiede anzitutto una premessa: è cosa buona l’allargare e il sostenere le forme di economia e di welfare autogestionarie. Anche perché siamo molto critici sugli eccessi del capitalismo, sempre più insopportabili.
Piace anche pensare e vedere che i giovani abbiano voglia (ne hanno diritto e hanno ragione) di cambiare il mondo. Ammiriamo quelli che non vogliono essere eterodiretti dal consumo e dal mercato. Condividiamo il sentir risuonare nei comizi e nei discorsi la parola comunità. Siamo, insomma, per dedicare spazi pubblici a esperienze che si impegnino a ristrutturarli e mantenerli, per scopi di interesse generale.
E tuttavia resta la domanda: perché mai alcuni “centri sociali” presenti in varie parti d’Italia, di destra o di sinistra, dovrebbero pretendere di ottenere spazi pubblici senza regole e senza responsabilità precise? Senza dover rispondere delle violenze che in quei luoghi sono state pianificate, pur se commesse altrove solo da qualcuno? Senza dissociarsi davvero dai facinorosi, e denunciarli? Quasi a far intuire che quelle frange siano l’inevitabile proseguimento della lotta politica. Quasi a tollerare che finalità nobili e lotta cruenta possano, pur nelle contraddizioni, alla fine coesistere.
Urta poi l’enfasi fastidiosa, per cui essi fanno intuire di essere tra i pochi o i soli ad avere l’anelito sopra descritto, quando invece ci sono in Italia migliaia di realtà organizzate, cattoliche e laiche, che quotidianamente operano e pensano, in silenzio e sobrietà, con quelle finalità.
Non è condivisibile la politica repressiva verso realtà e movimenti che hanno desiderio di pratiche di vita autogestionarie e orientate al bene pubblico; che desiderano cambiare, dal basso, modelli di vita che si vorrebbero imporre a tutti. Giusto invece provare a regolarizzare per via amministrativa quelle esperienze.
E però, senza una netta distinzione tra virtù e violenze e finché alcuni scaltri maestri non smettono di soffiare sul fuoco per poi levare la mano, c’è il rischio di essere involontario strumento di propaganda dei sacerdoti dell’ordine pubblico e dello status quo.
Stefano Lepri
[24 dicembre 2025]




