L’inverno demografico che colpisce il nostro Paese e che ne compromette seriamente le prospettive di sviluppo, negli ultimi anni si manifesta con particolare intensità al Sud. Nel 2024 il decremento del tasso di natalità al Sud (4,3) è stato tre volte maggiore che al Nord (1,4). Le regioni meridionali hanno ancora una quota di popolazione giovanile relativamente più alta, ma il trend si è completamente rovesciato.
L’inverno demografico dovrebbe indurre a ben altre politiche in materia di migranti, ma con questa breve nota voglio affrontare un altro argomento. Ad accentuare la crisi demografica del Sud si aggiunge il fenomeno della “fuga dei giovani”. Nel suo ultimo Rapporto la Svimez ci ricorda che in quattro anni (2022-2024) 174 mila giovani hanno lasciato il sud: circa 130 mila verso le regioni del Centro Nord e gli altri verso l’estero. Il fenomeno non è solo meridionale: nello stesso periodo 90 mila giovani delle regioni del Centro Nord sono emigrati all’estero.
Ma al Sud il dato è molto più grave. Dalla sola Campania nel triennio indicato sono emigrati oltre 48mila giovani, l’equivalente di una piccola cittadina. Il danno, per il Sud, di questo esodo è accentuato dal fatto che la metà dei giovani che emigrano è laureata. La Svimez calcola in 8 miliardi l’anno il costo di questa uscita. Senza contare l’impoverimento delle comunità, private in parte delle migliori energie giovanili.
Tra l’altro si va sviluppando un fenomeno che rischia di accelerare la desertificazione del Sud. Le famiglie dei giovani che emigrano, che di solito sono chiamate a sostenere economicamente i figli “lontani”, soprattutto per il caro casa, in alcuni casi decidono di seguire i figli, abbandonando definitivamente la terra di origine.
Che fare? Intanto va segnalato, come elemento di speranza, che vi sono movimenti, associazioni e comunità giovanili che, avvertendo il pericolo dello spopolamento del Sud, si impegnano a promuovere la cultura della “restanza”: restare al Sud per determinarne lo sviluppo. Iniziative che vanno, il più possibile incoraggiate. Ma la questione centrale è valutare se sono possibili politiche ed iniziative capaci di attenuare il fenomeno.
Penso che, preliminarmente, sia necessario un chiarimento di natura strategica. L’obiettivo non può essere quello di “trattenere” i giovani al Sud, ma di rendere più attrattivi i territori del Sud per i giovani, meridionali e non. Trattenere è un verbo incompatibile con la natura di un mondo caratterizzato dalla globalizzazione, dallo sviluppo delle relazioni, dalla curiosità di interfacciarsi con altre culture. Il problema è rendere attrattivi i territori meridionali. Invece vanno via in tanti, e ne arrivano pochi. Comunque ne arrivano più di quanto pensiamo: anzi sarebbe utile che venissero confermate ed accentuate le misure introdotte dal Governo Letta che favoriscono, con consistenti vantaggi fiscali, il rientro di cervelli dall’estero e l’ingresso di giovani stranieri e sarebbe anche utile che la Svimez costruisse un dato relativo al “saldo” tra uscite ed ingressi.
Che significa rendere più attrattivi i territori meridionali? Perché i giovani più qualificati vanno via? Non è prevalentemente questione di reddito: al Sud oggi è meno difficile trovare lavoro e anche uno stipendio basso renderebbe più conveniente restare, considerati gli enormi costi di trasferimento. Si va via per la qualità del lavoro e, soprattutto, per la qualità della vita. Lo scarto nella dotazione di servizi essenziali è ancora troppo alto; il divario di cittadinanza è ancora troppo pronunciato, anzi, per certi versi, sta peggiorando; l’offerta di opportunità culturali è ancora insufficiente. Come per le politiche di sviluppo, anche guardando a questo fenomeno, la ricetta è partire dal sociale, dal rafforzamento dei diritti di cittadinanza, e dei percorsi di inclusione, capaci di rendere più vivibili i territori.
Non sono affermazioni astratte: possono e devono essere il contenuto di politiche intelligenti e strutturate. Inutile tentare di “trattenere”. Bisogna fare in modo che un giovane meridionale possa liberamente decidere se restare o andare.




